Il fotovoltaico italiano avanti in ordine sparso

di Giuseppe Caravita
Dietro le luci di un mercato incentivato da un miliardo di euro (tre miliardi, compreso l'indotto), e in crescita a tre cifre, (300 megawatt istallati nel 2008, al 140% in più) si cela un'industria nascente del fotovoltaico italiano ancora fragile, ad alta intensità di importazione, persino costellata di posizioni di rendita. E da un sistema autorizzativo, per gli impianti solari (e produttivi) piuttosto caotico, discrezionale, diverso Regione per Regione, persino assessorato per assessorato.
E' la diagnosi scaturita dal convegno tenutosi giovedì al Politecnico di Milano in occasione della presentazione di uno studio sul solare italiano effettuato dalla Scuola di Management dell'Ateneo milanese, coordinato da Vittorio Chiesa, direttore dell'Energy & Strategy Group della scuola. Per la prima volta sono stati censite oltre 630 imprese attive nella filiera fotovoltaica. E altre 200 nel solare termico.

Margini ancora limitati
Sono di sicuro molti: 200 produttori di silicio, fette (Wafer), celle e moduli, 314 distributori e istallatori (senza contare alcune migliaia di operatori locali non specializzati) e inoltre oltre 110 imprese di produzione fotovoltaica elettrica e trading di energia.
Eppure, su un miliardo di mercato finale (e circa 100 milioni di euro di fondi pubblici finora investiti nel conto energia) il margine operativo lordo generato dalle imprese fotovoltaiche di origine italiana (il 74% degli istallatori e solo il 38% di chi produce celle e moduli) viene stimato in soli 180 milioni di euro, pari al 28% del margine complessivo generato lungo le diverse fasi della filiera.
Troppo poco, si importa il 40% delle celle e il 98% del silicio, ovvero i segmenti in cui i margini sono più elevati. E le imprese che producono celle si contano sulle dita di una mano (Eni, Solsonica, XGroup, Helios e Ommniasolar). «Una fetta troppo importante di quello che investiamo va all'estero – è la diagnosi di Antonio Costato, vicepresidente di Confindustria per l'Energia e il Mercato».
Rischio acquisizioni 
La nascente industria italiana del fotovoltaico va assolutamente irrobustita. «Devono investire in maniera significativa - rileva Chiesa - altrimenti il rischio è quello di venire assorbiti in pochi anni da più agguerriti concorrenti tedeschi, americani o asiatici».
Oggi il conto energia italiano, (da 36 centesimi a chilowattora fino a 49 centesimi per un un impianto integrato in un edificio residenziale) fa gola ovunque. E, nonostante il calo programmato del 2% annuo, è una fortissima attrazione per gli investitori esteri.
«E poi incentivi così elevati stanno generando sorgenti di rendita – rileva Costato – ci si sta illudendo che possa esistere un'industria ad alto rendimento senza rischio, così come ci si è illusi di una finanza priva di rischi».

L'impatto della crisi finanziaria 
La diagnosi comune, per i prossimi anni del fotovoltaico italiano è poi meno rosea rispetto ai mesi passati. «La crisi finanziaria sta ritardando molti progetti di grandi dimensioni già pronti a partire nel 2009, anche se al 2010-2011 dovrebbe essere raggiunta la soglia di un 1,2 gigawatt, oltre a cui scatterà, dopo i successivi 14 mesi la fine del conto energia attuale - rileva Chiesa -; sarebbe quindi utile prolungare di almeno qualche anno le incentivazioni dato che, secondo le nostre previsioni il fotovoltaico non arriverà alla "grid parity" prima del 2014-2016, al di là delle tante previsioni iper-ottimistiche che oggi spesso circolano».

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