Contro i terremoti si può fare qualcosa


Il terremoto che ha colpito l’Abruzzo in questi giorni, con il suo carico di vittime e di danni agli edifici storici e non, riporta alla ribalta gli aspetti della sicurezza delle costruzioni. Molto si è scritto e si è detto sugli organi di informazione per ciò che riguarda lo stato di non adeguatezza dei fabbricati alle sollecitazioni sismiche. Non sempre con la chiarezza necessaria.

Facciamo un po’ d’ordine. Innanzitutto occorre comprendere cosa succede ad un edificio quando c’è un terremoto. L’onda sismica dall’epicentro si irraggia intorno viaggiando nel terreno più o meno come l’increspatura che si forma gettando un sasso nell’acqua. Si genera un treno d’onde di ampiezza, altezza e numero, dipendenti dalla forza del sisma e dalla sua durata.

Gli edifici investiti dall’onda si comportano un po’ come barche a vela che ondeggiano, con la parte più vicina al pelo dell’acqua che oscilla di meno e la parte più alta che si inclina con maggiore forza ed ampiezza. La barca dondola, ma alla fine torna intatta al suo posto. L’edificio si lesiona e spesso crolla.

Questo avviene perché la barca a vela assorbe con il suo movimento il moto delle onde ed è progettata per resistere sia a spinte verticali che orizzontali – ad esempio il vento. La stragrande maggioranza degli edifici invece sono rigidamente connessi al terreno e costruiti per resistere alle sole forze verticali. Non sopportano perciò le sollecitazioni orizzontali che sono proprie dell’evento sismico.

Ciò è valido, con le dovute eccezioni, sia per gli edifici più antichi, sia per quelli più recenti con struttura in cemento armato.

Quel che differenzia la reazione dei fabbricati alle sollecitazioni indotte dal terremoto è la qualità costruttiva. In pratica l’edificio deve essere elastico in modo omogeneo, rispondere alla scossa sismica muovendosi tutto insieme. Deformandosi per poi ritornare al suo posto, magari con qualche lesione non strutturale.

Anche un edificio antico in muratura, se costruito con materiali e componenti che abbiano un’elasticità compatibile l’uno con l’altro, assemblati con perizia, può resistere meglio di un edificio moderno, realizzato in cemento armato, ma con poca attenzione alla qualità dei materiali ed all’esecuzione dei nodi tra travi, pilastri e fondazioni.

Le strutture in cemento armato usualmente realizzate, funzionano come un telaio che ha una superficie d’appoggio puntiforme, molto ridotta rispetto alla massa dell’edificio. Se uno o più pilastri cedono alla base, la costruzione collassa e tutto il carico sovrastante crolla come un castello di carte. E’ quel che è successo a l’Aquila in fabbricati di recente costruzione (anni 70), dove c’è stato il maggior numero di vittime.

Altro aspetto cruciale è quello della case dei centri storici minori. Qui gli edifici, costruiti in estrema economia erano realizzati con murature portanti miste di pietrame incoerente, con solai in legno appena appoggiati all’interno della muratura. E’ anche possibile che abbiano subito interventi di ammodernamento con materiali totalmente diversi da quelli originari, più rigidi e pesanti. I movimenti dell’edificio sottoposto al sisma sono stati assorbiti dai diversi elementi strutturali in modo differenziato, così i muri si sono spaccati ed i solai sono piombati uno sull’altro. I crolli, parziali o totali, sono stati generalizzati, con conseguenze drammatiche.

Situazioni simili sono fortemente diffuse su tutto il territorio nazionale.

Già il rapporto CENSIS 1999 aveva stimato che, su un totale di 21,7 milioni di abitazioni, ben il 15 –20% fossero a rischio per vetustà o per inadeguatezza tecnica. In questa seconda categoria rilevante è la quota degli edifici realizzati abusivamente ed in seguito sanati dall’indulgenza plenaria di diversi condoni edilizi.

Si tratta di cifre elevatissime che nell’ultimo decennio sono ulteriormente cresciute con l’aumento dell’età degli edifici. Oggi si parla di circa 8 milioni di fabbricati a rischio. Tra questi molti edifici pubblici.

Le normative tecniche, che dal 1974 obbligano i tecnici ad progettare le nuove costruzioni al rischio sismico sono state attuate con un ritardo di circa sei anni dovuto alla mancata emanazione dei regolamenti di attuazione. Gli aggiornamenti più recenti, seguiti al sisma che nel 1999 colpì il Molise dove il crollo della scuola di San Giuliano costò la vita a 29 bambini ed alla loro maestra, sono ancora in attesa di piena applicazione dovuta a proroghe e all’attesa per il recepimento di alcune normative a livello europeo.

Anche l’applicazione della normativa antisismica alle ristrutturazioni degli edifici nei centri storici presenta aspetti che meritano particolare attenzione. Chiunque si appresti a realizzare un intervento di ristrutturazione edilizia in un centro storico in zona sismica è infatti obbligato ad intervenire adottando misure tecniche di legge. L’obbligo però non si applica sull’intero edificio, ma solo sulla parte di esso su cui si intende intervenire. Ad esempio per rifare il tetto di un edificio in muratura di pietrame, occorre rinforzarne l’appoggio con un intervento di legatura delle pareti perimetrali. Di solito si usa realizzare cordolo in cemento armato. Se si apre un’apertura su un muro portante occorre prevedere una struttura di collegamento che garantisca la continuità tra le murature attorno al foro. Tutti interventi assolutamente necessari per garantire la sicurezza statica dell’immobile. Se però questi non vengono progettati da tecnici esperti e realizzati da imprese specializzate, il rischio di danneggiamento resta e può essere addirittura maggiore. Se l’elemento di consolidamento viene realizzato con una elasticità diversa rispetto al resto dell’edificio, quando arriva la scossa vibra in modo disomogeneo rispetto al resto della struttura originale provocando cedimenti nelle parti più vicine. Di questo si parlò in occasione del crollo della Basilica Superiore di Assisi in occasione del sisma del 1997, in quanto il tetto era stato consolidato con pesanti travi in cemento armato, anziché con una struttura lignea simile all’originale.

Il quadro generale della materia è perciò molto complesso, richiede competenze tecniche adeguate ed un’applicazione caso per caso che tenga conto delle condizioni al contorno di ciascun intervento.

Però qualcosa si può fare e subito:

1) decretare l’applicazione delle norme antisismiche alle nuove costruzioni, superando i continui rinvii di questi ultimi anni (l’ultimo termine per l’entrata in vigore delle norme è stato portato al 30 giugno 2010). Eventuali recepimenti delle normative europee o modifiche alle norme vigenti possono sempre essere applicate successivamente all’entrata in vigore del testo.

2) Avviare un programma di verifica dello stato degli edifici pubblici che porti nel medio termine al rinnovo del patrimonio edilizio a rischio;

3) Incentivare concretamente l’adeguamento antisismico delle abitazioni, con sistemi di detrazione fiscale per i privati, simili a quelli positivamente attuati per il risparmio energetico;

4) Diffondere una maggiore cultura a livello sociale di cosa è, cosa comporta e che conseguenza ha il terremoto: purtroppo è un fenomeno che è legato al nostro territorio e con il quale siamo costretti a convivere. Conoscerne le dinamiche sugli edifici può sensibilizzare i cittadini a prendere decisioni coerenti riguardo alle ristrutturazioni degli immobili, affidandosi a tecnici esperti ed evitando il “fai da te”;

5) Avviare programmi di riqualificazione dei centri storici in funzione dell’emergenza sismica senza compromettere l’alta qualità del paesaggio urbano. Questa qualità diffusa è forse la più importante risorsa culturale ed economica del nostro paese e ci è invidiata e ammirata in tutto il mondo. Tuttavia se vogliamo che i centri storici non si svuotino e mantengano una vitalità sociale e produttiva, dobbiamo concepire i tessuti storici come organismi in evoluzione. Possono essere realizzati interventi strategici di messa in sicurezza di interi edifici e di isolati applicando tecniche di consolidamento con materiali innovativi e meno invasivi rispetto al passato. Nei paesi europei più avanzati il rinnovamento dei centri urbani è un fatto quotidiano. Si realizzano così edifici sempre più funzionali dal punto di vista statico, energetico, sanitario, di durabilità nel tempo e di qualità dei materiali. Sono spesso edifici belli dal punto di vista estetico e dell’inserimento nel tessuto preesistente.

Per realizzare questo processo occorre la partecipazione di soggetti privati e pubblici a tutti i livelli istituzionali. Non ultimi Enti Locali e Soprintendenze dai quali aspettarsi un ruolo attivo nel consentire interventi di rinnovamento.

Carlo Vigevano è un architetto, specializzato in progetti di sostenibilità applicata agli edifici ed alla progettazione urbana. Opera nel campo della progettazione ambientale.
fonte:loccidentale.it

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