1. Il ritorno dell'arbitrato nell'ambito delle Pubbliche amministrazioni.

Proprio nel momento in cui il ricorso alle procedure arbitrali aventi come parte
una Pubblica Amministrazione era stato ormai pienamente acquisito, e unanimemente
accettato, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, e diffuso nella pratica, il Legislatore ne
ha disposto il divieto, con gli artt. 3, commi 19, 20 e 21, della L. n. 244 del 2007 (legge
finanziaria per il 2008), e 15 del D. L. n. 248 del 2007 (il termine di operatività è stato
in seguito differito con l‟art. 15 L. n. 31 del 2008, di conversione D. L. n. 248 del 2007,
c.d. “milleproroghe”).
Secondo la legislazione richiamata, a decorrere dal 1° luglio 2008 l‟inserimento
nei contratti pubblici di clausole compromissorie o la sottoscrizione di compromessi
avrebbe portato alla nullità dei contratti stessi. Sempre in base alla stessa rigorosa
norma, relativamente ai contratti già sottoscritti alla data dell‟entrata in vigore della L.
n. 31 del 2008, per i quali sia prevista la facoltà di declinatoria, se i collegi arbitrali non
si sono costituiti al 30 giugno 2008, sussiste l‟obbligo di denegare la competenza
arbitrale, come ribadito anche dall‟Autorità di vigilanza per i contratti pubblici nel
parere del 10 marzo 2008.  È opportuno notare, però, che tale divieto assoluto, grazie a
norme di proroga dell‟entrata in vigore della norma che lo ha previsto, non è mai
divenuto operativo, com‟è stato anche sottolineato nella Relazione di presentazione
dello schema di decreto legislativo alle Camere (Schema n. 167 del 19 dicembre 2009).
Questa posizione di rifiuto assunta di recente dal Legislatore  risulta ancora più
forte se si considera che, in linea di principio, l‟utilizzabilità dell‟istituto dell‟arbitrato
ha trovato un‟affermazione generale nell‟ambito della giustizia amministrativa, ad opera
dell‟art. 6, comma 2, della L. n. 205 del 21 luglio 2000, ove si sancisce appunto che “le
controversie concernenti diritti soggettivi devolute al giudice amministrativo possono
essere risolte mediante arbitrato rituale di  diritto”. Le ragioni poste alla base della
drastica soluzione del divieto meritano adeguata considerazione, in quanto pongono in
luce le inefficienze dell‟istituto emerse in sede applicativa, e la conseguente necessità di
introdurre differenziazioni allo stesso.
L‟arbitrato, infatti, resta nell‟ambito degli strumenti di diritto comune, ma la sua
disciplina deve tenere conto delle peculiarità del contesto pubblico in cui è applicato,
prime fra tutte quelle legale alle regole della contabilità pubblica che non consentono
elusioni né situazioni di eccessiva aleatorietà, per quanto tecnicamente giustificabile,
per le spese imputabili alla parte pubblica. La contrarietà al ricorso dell‟arbitrato
nell‟ambito della P.A. è infatti principalmente legata alla valutazione del costo,
rilevatosi eccessivo, che il ricorso a questa procedura ha comportato, dato evidenziato
anche dall‟Autorità di Vigilanza del settore nella Relazione 2006 presentata al Senato
della Repubblica il 16 luglio 2007. 39
La riforma del 2010 ha modificato la disciplina dell‟arbitrato, rimodellando questo
istituto in alcuni punti risultati problematici tanto da portare il legislatore a disporne il
generale divieto per la P.A., rimosso proprio con l‟art. 5 del D.L.vo n. 53 del 2010.
Le innovazioni introdotte, destinate alla razionalizzazione dell‟istituto, prevedono
che il contraente pubblico indichi sin nel bando se nel contratto sarà o meno inserita la
clausola compromissoria, e per l‟aggiudicatario la facoltà di rifiutare l‟inserimento della
clausola  compromissoria nel contratto; criteri selettivi più stringenti per la scelta
dell‟arbitro presidente; nuove regole per l‟impugnazione del lodo e l‟accelerazione del
giudizio di appello avverso il lodo; una sensibile riduzione dei costi del giudizio
arbitrale tramite determinazione pubblica in sostituzione delle tariffe vigenti, con
applicazione di un tetto massimo di complessivi 100 mila euro per l‟intero collegio
arbitrale, compreso il segretario
1
.
Le correzioni introdotte, quindi, rappresentano un importante passo verso
l‟adeguamento di questa forma di giustizia “privata”, fornendo alle parti una scelta in
più, da valutare nell‟ambito delle altre scelte offerte dall‟ordinamento, da selezionare
tenendo conto anche dei tempi e dei costi necessari per giungere alla decisione.
Così come l‟accordo bonario disciplinato dall‟art. 240  – istituto legato
strettamente all‟arbitrato e al giudizio ordinario in quanto il suo fallimento rappresenta
un presupposto per accedere, appunto, alla tutela arbitrale o a quella giurisdizionale
ordinaria –, anche la modifica dell‟arbitrato non è espressamente oggetto della direttiva
n.2007/66/CE, cui all‟art. 44 della legge delega n. 88 del 2009 (legge comunitaria per il
2008) dichiara di dare attuazione.
Tale scelta autonoma del Legislatore nazionale, non strettamente imposta
dall‟ordinamento sovranazionale, si ispira alle stesse finalità di garanzia perseguite dal
Parlamento europeo e dal Consiglio, autori della c.d. “direttiva ricorsi”, e in particolare
al miglioramento dell‟efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici2.


1
ITALIA, Il nuovo ricorso negli appalti pubblici  - Commento organico al decreto legislativo 20 marzo
2010, n.53 attuativo della "Direttiva ricorsi" riguardante il miglioramento dell'efficacia delle procedure
al ricorso in materia di appalti pubblici, Giuffrè, Milano, 2010, 79.
2
Ibidem, Il nuovo ricorso negli appalti pubblici,op. cit.

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