Il Collegio arbitrale.

Per quanto concerne il Collegio arbitrale, è da segnalare che il mancato accordo
per la nomina del terzo arbitro  – presidente del collegio, che deve essere scelto o
direttamente dalle parti, o dagli arbitri di parte, in base ad apposito mandato – determina
l‟applicazione di una procedura speciale, ulteriormente differenziata rispetto a quella
qui regolata che si vuole basare ancora prevalentemente sul  Cod. proc. civ.; a tale
procedura è dedicato integralmente il successivo art. 243.
La riforma del 2010, modificando il comma 5 dell‟art. 241, ha reso più rigorosi i
criteri per la selezione del presidente del collegio
3
; la scelta è limitata tra soggetti non
solo dotati “di particolar esperienza nella materia oggetto del contratto cui l‟arbitrato si
riferisce” (così come richiesto dall‟art. 241 del codice), ma anche muniti di “precipui
requisiti di indipendenza” (criterio questo diverso dall‟imparzialità), che non abbiano
espletato nell‟ultimo triennio attività di arbitro di parte o di difensore in procedimenti
davanti ai giudici privati relativi alla esecuzione di contratti pubblici.
La nomina del Presidente in violazione di tali requisiti è sanzionata con la nullità
del lodo ai sensi dell‟art. 829, comma 1, n. 3, Cod. proc. civ. (il motivo di impugnazione
non potrà essere dedotto dalla parte che ha dato luogo alla nullità, o vi ha rinunciato, o, ex art. 830, secondo comma, Cod. proc. civ., se “non ha eccepito nella prima istanza o
difesa successiva” la violazione della normativa e quindi nel nostro caso l‟incapacità
dell‟arbitro).
Dalla previsione consegue una netta incompatibilità per i soggetti  – almeno in
prevalenza avvocati del libero foro – che nell‟ultimo triennio hanno svolto attività di
arbitro di parte o di difensori negli arbitrati disciplinati dal codice, non solo fra le stesse
parti, ma anche fra altre.
La disamina della disposizione esclude dal regime dell‟incompatibilità il mandato
ricevuto per la gestione del contenzioso da un difensore dipendente pubblico
nell‟”adempimento di dovere d‟ufficio”. Non possono, poi, nel rispetto dei principi
generali, assumere l‟incarico di arbitri i soggetti che hanno partecipato all‟accordo
bonario.
Il comma sesto ha previsto quale ipotesi di ricusazione l‟aver espresso un
giudizio, o parere, sull‟oggetto della controversia anche nel contesto del procedimento
di accordo bonario, destando perplessità sulla compatibilità con i principi generali e a
quello di ragionevolezza.
L‟art. 241 del D.L.vo 163 del 2006 si limitava a prevedere la facoltà delle parti, o
degli arbitri, di individuare il Presidente tra i soggetti dotati di particolare esperienza
nella materia oggetto del contratto (e quindi dell‟arbitrato) richiedendo che fossero
“muniti di precipui requisiti di indipendenza” (criterio questo, invero, di non agevole
verifica ex ante). L‟individuazione dell‟assunzione negli ultimi tre anni del mandato di
arbitro di parte, o di difensore, nelle controversie relative all‟esecuzione dei contratti
pubblici quale situazione ostativa alla nomina del Presidente non trova sostegno nella
disciplina processualcivilistica in quanto l‟art. 815 n. 6  Cod. proc. civ. si limita a
prevedere la possibilità di ricusazione dell‟arbitro se ha prestato consulenza, assistenza
o difesa a una delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha deposto come
testimone con stretto riferimento al diverso requisito della imparzialità; non assume
rilevanza, quindi, e con disciplina del tutto ragionevole la pregressa attività in giudizi
che coinvolgano parti diverse. La normativa deontologica (art. 55) prevede l‟obbligo per
l‟Avvocato che assume il mandato di arbitro di “improntare il proprio comportamento a
probità e correttezza e a vigilare che il procedimento si svolga con imparzialità e
indipendenza”.
In tale contesto il riferimento alle norme deontologiche assume rilevanza, almeno
per i liberi professionisti, proprio  per la connessione logica fra illecito disciplinare e la
precipua indipendenza richiesta dalla disposizione.
Occorre notale come il divieto di nomina a Presidente introdotto dal D.L.vo 53 del
2010 ricorda la disciplina dell‟art. 151, comma 8 del D.P.R. 554 del 99; la disposizione
è stata ritenuta illegittima dal Consiglio di Stato con la sentenza 6335 del 2003
4
, nella
parte in cui stabiliva regole relative alla formazione dell‟albo degli arbitri della camera
arbitrale (art. 151, commi 5 e 7, quest‟ultimo limitatamente agli arbitri), nonché alla
durata dell‟iscrizione ed alle incompatibilità conseguenti all‟iscrizione stessa. La riconducibilità prevista dal D.L.vo 53 del  2010 dell‟incompatibilità all‟ipotesi limitata
all‟art. 812  Cod. proc. civ. alle carenze della capacità legale di agire dell‟arbitro è
almeno discutibile, dando luogo a consistenti perplessità in riferimento al principio di
ragionevolezza, per la disparità di trattamento tra arbitro nominato dalle parti e
Presidente del collegio (che può avvenire anche con il consenso delle parti);
l‟assunzione di tale incarico, nel triennio, non preclude secondo la recente normativa il
conferimento di successive nomine in giudizi arbitrali
5
. Dalla previsione generale di
incompatibilità per lo svolgimento nel triennio precedente del mandato di arbitro di
parte o di difensore nei giudizi relativi alle controversie nei contratti pubblici conseguirà
in molti casi per i liberi professionisti l‟impossibilità di accettare la nomina a Presidente
del collegio; tuttavia l‟incompatibilità non opera per i dipendenti pubblici individuati in
precedenza quali presidenti, con irragionevole discriminazione tra le due ipotesi.
Altro aspetto lacunoso appare l‟individuazione del  dies a quo per la verifica del
mancato esercizio delle funzioni di arbitro di parte o di difensore nell‟ultimo triennio:
tale termine potrebbe decorrere, in carenza di espressa previsione, sia dall‟accettazione
che dalla costituzione del collegio che, infine, dalla data di deposito del lodo. La nomina
in carenza del requisito dell‟inattività triennale è sanzionata con la nullità del lodo ex
art. 829, comma 1°, n. 3 Cod. proc. civ.
L‟art. 241 si occupa, infine, del collegio arbitrale, toccando anche gli aspetti
relativi ai costi della procedura. La novella del 2010 all‟art. 241 del Codice dei contratti
pubblici si pone doverosamente in osservanza della legge delega, che ha posto il
contenimento dei costi del giudizio arbitrale tra i principi e criteri direttivi della delega
stessa (L. n. 88 del 2009, art. 44, comma 3, n. 5). Il metodo  adottato, al comma 12
dell‟art. 241, è quello del rinvio ad un decreto ministeriale specificato – il D.M. lavori
pubblici 2 dicembre 2000, n. 398 – atto che contiene tariffe la cui applicazione è oggi
imposta autoritativamente: la soluzione scelta per la riduzione dei costi dell‟arbitrato,
anche ai fini della sua riammissione nell‟ambito dei contratti pubblici, è quindi quella
della sua determinazione autoritativa
6
.
Il comma 12 dell‟art. 241, Codice dei contratti pubblici, esclude inoltre
l‟applicazione, agli arbitrati disciplinati, dell‟art, 24 del  D.L.  n. 223 del 2006,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
Agli arbitrati in tema di contratti pubblici di lavori, servizi o forniture oggi si
applica, come previsto dal comma 12, primo periodo dell‟art. 241, il D.M. Ministero
Lavori Pubblici n. 398 del 2000, sia per i criteri da adottare, sia per la determinazione
della tariffa disposta in allegato. Tale metodo vale anche per il consulente tecnico e ogni
altro ausiliario nominato dal collegio arbitrale, in quel caso col richiamo del D.P.R. 20
maggio 2002, n. 115, artt. 49-58, come dispone il nuovo comma 13 dell‟art. 241. Il
vincolo più forte, comunque, si riscontra nell‟introduzione del quarto periodo del
comma 12, art. 241, in cui si ribadisce il tetto massimo di 100 mila euro per il compenso
dell‟intero collegio arbitrale, compreso il segretario, se presente. Tale scelta appare
rigida nel senso che rappresenta una significativa eccezione nell‟ambito della disciplina
dell‟arbitrato e, più in generale, del sistema tariffario nell‟ambito delle libere
professioni.
Tra le innovazioni introdotte, infine, deve essere segnalata la previsione della
compensazione delle spese di giudizio in proporzione al rapporto tra il valore della domanda e quello dell‟accoglimento – salvo il richiamato caso contemplato dall‟art. 92
Cod. proc. civ. e cioè “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed
eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può
compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”  – ex comma 12 bis
introdotto dalla novella del 2010 7.


3
GIALLONGO,  L’accordo bonario e l’arbitrato dei contratti pubblici dopo il D.L.vo 53 del 2010  in
www.giustamm.it

4
Cons. Stato, sez. IV, 17 ottobre 2003 n. 6335 in  D&G  - Dir. e Giust. 2003, f. 39, 72 con note di
CASSANO e NISATI; Foro amm. CDS 2003, 2941; Giur. it. 2004, 61 con note di CASSANO e NISATI;
Foro it. 2004, III, 73 con note di CARROZZA e FRACCHIA;  Studium Juris 2004, 265; Riv. arbitrato
2004, 743 con nota di LUISO;  Giur. it. 2004, 535 con nota di BUONFRATE; Foro pad. 2003, I, 511;
sulla sentenza, si veda anche STUMPO, Appalti pubblici di lavori ed arbitrato: alcune considerazioni
sull’evoluzione del meccanismo di risoluzione, anche alla luce della pronunzia del Consiglio di Stato 17
ottobre 6335 in Riv. trim. app., 2004, 627.

5
ITALIA, Il nuovo ricorso negli appalti pubblici, op. cit., 91.
6
Ibidem,  Il nuovo ricorso negli appalti pubblici, op. cit., 92.

7
GUZZO,  Appalti pubblici, Disciplina, procedura e nuovi profili processuali, Giuffrè, Milano, 2010,
329.
continua su "Tempio di Giove"

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