Liberalizzazione delle professioni luglio 2011

La bozza di legge delega sulla “liberalizzazione” delle professioni del Governo di
Silvio Berlusconi, così come le passate azioni e le odierne ripetute affermazioni
del leader dell’opposizione Pierluigi Bersani e gli appelli del Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, conducono tutte ad uno stesso esito: lo snaturamento delle libere professioni.
L’obiettivo non sono gli Ordini che, pur con i limiti umani delle persone che li rappresentano, sono eletti democraticamente, forniscono un servizio a tutta la comunità a spese dei propri iscritti, sono istituzioni dello Stato che operano al di fuori di quelle logiche di partito che tanto danno stanno facendo al Paese.
L’obiettivo sono i nostri mestieri, mestieri liberi, intellettuali, radicati nella storia e nel
reale, capaci di darci il pane mentre adempiamo un servizio utile ai cittadini.
Ma il progetto del mondo politico italiano non è investire nelle idee, nel talento e
nelle capacità tecniche degli architetti italiani o delle altre professioni intellettuali:
da oltre quindici anni la nostra classe politica, senza alcuna conoscenza della realtà
del nostro mestiere e presa da un cieco
furore ideologico o strumentale pervicacia, agisce con iniziative che danneggiano
i cittadini e l’habitat.
L’abolizione dei minimi tariffari, senza adeguati correttivi, ha reso normali ribassi
dell’80% sulle parcelle, sfruttando la condizione di crisi e le sempre più drammatiche
difficoltà economiche dei professionisti italiani. Le regole puramente economiche sull’assegnazione degli incarichi nei lavori
pubblici hanno emarginato ed espulso dal mercato i giovani e i “piccoli”, contro ogni
criterio di merito; la scelta di escludere i professionisti da alcun sostegno fiscale o di
credito nella crisi ha danneggiato, forse irreparabilmente, le fasce più deboli: giovani e
donne.
Gli architetti italiani, che non hanno alcuna barriera all’accesso né limitazioni territoriali né impedimenti alla pubblicità, hanno chiesto di costituire le società tra professionisti ma è stato loro negato; di costituire reti
interprofessionali, ma non vi sono le norme che lo permettono; di avere incentivi fiscali
all’innovazione e all’internazionalizzazione, senza risultato.
Qualunque altro Paese del mondo sarebbe pronto ad investire sulla creatività e capacità
di chi ha realizzato il “made in Italy”, di chi è pronto a mettersi in gioco con tenacia e senza paracaduti sociali, dei giovani talenti che invece vanno altrove, dove le idee sono la fonte dello sviluppo.
L’unico obiettivo della politica italiana sembra invece riposto nello smontare un sistema professionale che, pur con i suoi difetti,
è fondato su pochi saldi principi di civiltà:
l’etica professionale, la rappresentanza eletta
democraticamente, la missione di difendere
i principi costituzionali di salvaguardia dell’ambiente e promozione della cultura, la
difesa dell’utente finale.
Si vuole imporre alla nostra libera professione
di architetti il modello industriale e finanziario, con società anonime fuori dal controllo
etico, con strutture che concorrono sulla base
dei fatturati e non dei progetti, con organizzazioni di matrice industriale piuttosto che
cooperativa che controllano il libero lavoro
intellettuale, con approcci vetero-industriali
che la Rete – così consona al nostro lavoro –
ha mandato in soffitta da tempo.
Si vuole confondere la prestazione intellettuale e la commercializzazione del prodotto,
come si è fatto – unici in Europa – con l’appalto integrato, con buona pace della difesa
del consumatore.
Gli architetti italiani rifiutano questo
approccio e questo metodo, incivile e antieconomico: noi da tempo abbiamo avviato
il processo di adattamento al mercato globale e vogliamo, anzi pretendiamo, il rispetto
dovuto a chi impegna il proprio intelletto e le proprie risorse tecniche ed economiche
per contribuire allo sviluppo sostenibile dell’Italia, senza mai aver avuto il sostegno
economico o fiscale dello Stato, pagandoci le nostre pensioni, impegnandoci con passione non solo a sbarcare il lunario, ma a difendere il paesaggio e a migliorare la qualità dell’habitat.
Gli architetti italiani invitano tutte le persone che siedono nelle istituzioni a togliersi
gli occhiali ideologici, leggere la realtà vera
del mondo professionale (www.awn.it/AWN
/Engine/RAServeFile.php/f/News_CNAPPC/RAPPORTO_CRESME.pdf), confrontarsi sulle prospettive di attività che sono fondamentali per il PIL e per il benessere ambientale del Paese e investire sul
talento, le idee, la tecnica con cui costruire il futuro. Perché ri-formare vuol dire riprogettare, non distruggere.
Perciò diciamo al Parlamento che per fare la riforma bisogna:
• Rendere il mercato realmente aperto all’affermazione del merito, smontando
tutte le norme che mediante i valori di fatturato o le misure della quantità del lavoro
svolto impediscono ai giovani talenti di affermarsi.
• Rendere possibili le società interprofessionali, composte da iscritti agli Albi e l’attivazione di reti professionali italiane ed estere.
• Incentivare la ricerca e l’innovazione negli Studi, promuoverli sui mercati internazionali.
• Riaffermare e sostenere il ruolo dell’etica professionale, unico principio di civiltà capace di regolare il mercato
Gli architetti italiani vogliono mantenere le loro idee e le loro matite libere dai condizionamenti di un sistema, come quello che ci vogliono imporre, basato esclusivamente sul conseguimento del risultato economico:
vogliamo continuare a credere che possiamo predisporre progetti che faranno vivere
un po’ meglio le persone e contribuiranno al benessere dell’Italia, anche se ciò non
rientra nei programmi di un responsabile finanziario aziendale.
Roma, 4 luglio 2011

Commenti