Architetti migranti in cerca di lavoro

Gli architetti in Italia sono 145mila, superiamo il record europeo con 2,4 professionisti ogni mille abitanti e, secondo le stime del Cresme, il mercato dell'architettura nel nostro paese vale 2,7 miliardi. Fatti due conti, si tratta di spartirsi una media di 19mila euro l'anno. Una categoria in sofferenza e una situazione che sempre più spesso spinge i professionisti a guardare oltre confine. 

«A livello economico per gli architetti è più facile trovare impieghi da dipendenti in Paesi come Cina, India o Turchia, dove c'è una fiorente architettura commerciale. Per chi cerca invece opportunità di qualità l'Europa resta un punto di riferimento». Ne sono convinti Cristina Murphy e Andrea Bertassi, trentenni italiani con esperienze internazionali e con base a Rotterdam, dove nel 2008 hanno fondato lo studio XCoop. Opportunità ci sono in Germania e in Inghilterra. «Il Belgio è un paese che ha un sistema particolarmente favorevole per i giovani – spiega Murphy -, i bandi non sono restrittivi per esperienze già maturate. In Francia, poi, c'è un'esplosione recente di iniziative pubbliche per progetti molto ambiziosi». Tra le mete di maggiore appeal c'è anche la Svizzera. «Paese anticiclico che oggi vive un momento dolce», spiega Fabrizio Barozzi 35 anni, di origini trentine, che nel 2004 ha fondato lo studio Ebv a Barcellona. A Pasqua ha vinto un concorso per realizzare un polo museale a Losanna e l'operazione va avanti senza intoppi. «In Spagna – commenta Barozzi - il contraccolpo della crisi sull'immobiliare è stato terribile: il tasso di disoccupazione degli architetti è elevatissimo. I piccoli studi hanno chiuso e quelli grandi hanno dimezzato il loro organico. In Svizzera invece ci sono tanti investimenti, pubblici e privati, che generano opportunità di lavoro». 
In Italia il 40% degli architetti ha meno di 40 anni e per loro l'avvio della carriera è difficilissimo. Così, se la generazione Erasmus all'inizio degli anni '90 guardava con interesse all'Europa, oggi le migliori opportunità sembrano essere in Asia e in America Latina, ma l'accesso a questi mercati non è facile. «Su scala globale funziona la logica del grande numero, dei fatturati di mega-studi o di celebri single», spiega Silvio D'Ascia, quarantenne napoletano emigrato una ventina d'anni fa a Parigi, che a differenza dei colleghi rimasti in Italia conta già un buon numero di architetture non di carta, ma costruite. Secondo D'Ascia le eccellenze individuali troveranno comunque il loro spazio, «bisogna cominciare con associazioni, collaborazioni, consulenze e partnership con una logica di scambio di idee». 
Nel mondo anglosassone prevalgono grandi studi di stampo americano. A Londra sono tanti gli italiani che lavorano nelle maxi strutture di Zaha Hadid, Richard Rogers o Norman Foster. «La cosa più bella per chi lavora qui è il livello altissimo degli studi, il tipo di progetti – racconta Cristina Segni, 37 anni, sbarcata a Londra dal 2000 e partner dello studio guidato da Foster -. Si lavora con tutto il mondo e si impara un metodo rigoroso, aperto alle collaborazioni». È orgogliosa della sua carriera e la consiglia ai colleghi più giovani. «L'università italiana è molto teorica. Qui impariamo che l'architettura non è fatta di idee, ma che bisogna far quadrare il budget, le esigenze del cliente e le condizioni del contesto».
Allo studio Foster+Partners arrivano centinaia di curriculum in un solo giorno. Per entrare in queste strutture spesso è più utile il passaparola tra coetanei, o tramite di agenzie di collocamento specializzate. «Bisogna costruire il proprio profilo in modo intelligente – aggiunge Cristina Murphy che ha lavorato per sei anni nello studio di Rem Koolhaas -, il più possibile competitivo. Inventare idee per acquisire visibilità, per essere pronti quando arriveranno condizioni economiche più favorevoli». All'estero non c'è la concorrenza con geometri e ingegneri come c'è in Italia. In più, a Londra ma anche in Spagna, la figura dell'architetto gode di considerazione e vengono chiamati anche per piccoli lavori. Per questo motivo c'è spazio anche per gli studi dei più giovani, che non di rado si associano con colleghi coetanei di diverse nazionalità per dare vita alla propria attività.

Commenti