Liberalizzazioni il commento di alcuni presidenti degli ordini degli architetti




«Se si vuole far crescere il Paese, il problema non è certo la riforma ordinistica. Serve piuttosto una politica e un piano che ridiano senso alla gestione del territorio. Di progettazione non si parla più e non c'è più modo di farla, questo è il problema».


Amedeo Schiattarella, presidente dell'Ordine degli architetti di Roma, ha pubblicato un appello sui giornali per dire che «non difendiamo gli ordini professionali così come sono», ma anche che bisogna tornare a «fare architettura». «Chi ha il compito di progettare le trasformazioni fisiche del territorio è depositario di una forte responsabilità etica nei confronti della società». E nel decreto liberalizzazioni, come nelle polemiche degli ultimi mesi e nel ritorno della questione della competizione tra società professionali e società di capitale, Schiattarella vede lo scontro fra due modelli culturali di architettura nell'era del mercato globale: il modello dell'Europa continentale «che ha una base culturale densa, legata più al pensiero che alla tecnica» e il modello anglosassone dove prevale la tecnica e grandi strutture societarie. «Noi possiamo vincere con la flessibilità e la capacità dei nostri studi».


Il presidente dell'Ordine degli architetti di Torino, Riccardo Bedrone, vede invece nel decreto «l'attacco ad alcune categorie molto forti, gli avvocati, i farmacisti, i notai», non ad architetti e ingegneri. L'abolizione delle tariffe professionali come minimo garantito è una questione ormai digerita da ingegneri e architetti. Il problema è semmai come sostituire il vuoto che si crea. «Ci vorrà - dice Bedrone - una determinazione degli Ordini per dettare un valore di riferimento per il mercato oppure bisognerà chiedere alle Regioni di adottare un prezziario regionale, come succede per altri lavori». Il «guazzabuglio», a proposito di riforme ordinistiche, è se saranno trasferite altrove le funzioni formative. «Sulla base delle posizioni dell'Antitrust, si dice che con un prossimo provvedimento si potrebbe lasciare agli Ordini solo la funzione di accreditamento, dando al mercato il compito formativo. Questo sarebbe un errore». Piuttosto gli Ordini dovrebbero diventare «organismi simili alle Camere di Commercio che facciano procedure di conciliazione e promozione» ed essere sottratti alla vigilanza del ministero di Giustizia per passare a ministeri economici, Infrastrutture o Sviluppo.


Stefano Calzolari, presidente dell'Ordine degli ingegneri di Milano, non rimpiange «l'Ordine della tariffa, come protezione di un privilegio economico di categoria». La tariffa ha ancora un senso, semmai, se fornisce un servizio alla collettività. «Dovrebbe essere - dice - un riferimento di mercato collegato all'adeguata descrizione di una prestazione professionale». Sulla formazione, «l'Ordine non può essere l'unico attore: deve conoscere meglio i propri iscritti per capire quali siano le esigenze specifiche e, una volta comprese queste esigenze, potrà decidere se soddisfarle direttamente o se invece individuare scuole dove possono essere altrettanto ben soddisfatte».


Anche per Vincenzo Sinisi, presidente dell'Ordine degli architetti di Bari, il problema non è «la tariffa come minimo garantito». Va però sfatata l'idea che siano le riforme della tariffa a muovere il mercato. Piuttosto Sinisi ricorda orgogliosamente che «la Puglia è stata la prima Regione a varare una legge sulla qualità architettonica»: è quella la strada per ricreare un mercato e dotarlo di regole capaci di fare sviluppo sostenibile.


ilsole24ore.it


di Giorgio Santilli

da Il Sole 24ore del 24.01.12

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