“Parlo a braccio. Sono qui per far vendere ceramica, quando uscite dovete visitare la fiera e comprare una piastrella”. Comincia così Piano, senza cravatta e con fare informale, il suo discorso. O meglio la mirabile lezione, pratica, che non vuole essere altisonante, ma spiegare a studenti, giornalisti, architetti, gente comune, cosa significa fare architettura. “C’è chi comincia dalla visione per arrivare al progetto, e c’è invece chi parte dal costruire per arrivare alla visione”. Io seguo la seconda via: fare architettura significa costruire, non solo disegnare, ma realizzare, lavorare sui materiali, ascoltare la gente e interpretare i loro bisogni per migliorare la loro vita e l’aspetto delle città. L’architettura è la poetica del fare e del costruire, la sfida dell’ingegno che esplora. E’ un’arte di frontiera, contaminata dalla realtà. UN’arte corsara, di rapina, un prendere, riprendere dagli altri. Una rapina sì, ma fatta a viso scoperto, e finalizzata a ridare qualcosa in più.
Renzo Piano spiega così il suo mestiere facendo inoltre vedere al pubblico i suoi progetti, passando dal Centre Pompidou nel Beaubourg di Parigi all’Auditorium di Roma, dalla chiesa di Padre Pio a S.Giovanni Rotondo alla cupola nell’Alexanderplatz di Berlino, dalla Morgan Library di New York al Campus Columbia University.
Progetti lontani nel tempo e nello spazio, ma esempi del suo modo (che poi diventa universale e paradigmatico) di fare architettura, un’architettura che racchiude estetica, umanistica, innovazione nel costruire. L’architettura non è infatti solo l’arte del costruire, ma di rispondere ai sogni della gente. “Si parte dai bulloni per arrivare ai desideri”, continua Piano che continua “l’arte di produrre umili ripari ha sempre celebrato e rappresentato qualcosa di più”. fare architettura è costruire, fare calcoli, azioni pragmatiche che si uniscono all’immaginifico, per rendere possibile ciò che è impossibile, almeno all’apparenza. Come quando si è trovato a dover ricostruire il quartiere raso al suolo dell’Alexander Platz, un foglio bianco nel quale scrivere una nuova storia senza cancellare le tracce del passato. “Un progetto molto drammatico al quale però hanno lavorato 5mila operai di cui solo 500 tedeschi”. Il luogo dell’intolleranza semita per eccellenza si trasforma così in un posto multietnico che accoglie persone da tutto il mondo.
Piano racconta un aneddoto legato ai lavori in Giappone: 38 mesi, 36 terremoti, e nessun incidente. Perché come sottolinea Piano gli infortuni sul lavoro accidentali non esistono, non è il caso, ma la mancanza di manutenzione. I lavoratori giapponesi sono soliti fare allenamento prima di iniziare, e a fine giornata fissano i singoli pezzi, rimettendo tutto in ordine.
Altro punto toccato da Piano, la questione ambientale: il legno è un materiale antico che può essere reinventato grazie alle nuove tecnologie, dalle elevate prestazioni. E’ una fonte di energia rinnovabile perché ricresce, grazie alla riforestazione.
Come la ceramica, naturale e antico materiale, utilizzato come struttura, elemento di rivestimento sia verticale che orizzontale in numerosi dei suoi progetti.
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Il discorso è on line e scaricabile dal sito del Cersaie.
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