IL VENETO CHE PIANIFICA
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È passato quasi un anno da quando abbiamo cominciato a discutere del convegno da tenere a Verona. Avevamo alle spalle il congresso di Ancona e davanti la VI Rassegna Urbanistica Nazionale.
L’evento di Verona rappresenta per l’Istituto Nazionale di Urbanistica una tappa importante del percorso, iniziato ad Ancona nel 2008, di riflessione sul tema del nuovo piano, cioè della nuova forma, ma anche dei nuovi territori, delle nuove emergenze e priorità che la pianificazione deve affrontare.
Siamo ad almeno quindici anni di distanza dal congresso di Firenze nel quale l’INU proponeva la propria riforma urbanistica e introduceva un nuovo modello di piano urbanistico che prevede la separazione tra piano strutturale e piano operativo. Oggi un buon numero di leggi regionali, con modalità diverse, ha recepito il modello proposto dall’INU e molti piani sono stati redatti in questa forma.
È venuto il momento, quindi, di fare il punto e verificare l’efficacia della proposta. Lo abbiamo fatto coinvolgendo cinque regioni che hanno riformato la legge urbanistica, oltre al Veneto: Toscana, Emilia Romagna, Lombardia e Puglia. Inizia così la scrittura di un taccuino di viaggio sul quale riportare i dubbi e le domande, i successi e le criticità per poter ragionarci attorno, collaudare il modello, verificare se davvero quello che ne esce è un nuovo piano.
Il Veneto è un buon punto di partenza per essere una regione complessa e variegata, ma anche per avere prodotto negli ultimi anni un numero notevole di piani comunali e intercomunali, provinciali e il piano regionale. E’ il momento di dare conto di ciò che si è fatto, ma anche di discutere e mettere a punto il nuovo percorso per il futuro.
Non a caso la città ospitante è Verona, il primo capoluogo veneto ad avere approvato il Piano di Assetto del Territorio e a sperimentare il Piano degli Interventi.
Lo facciamo in un momento particolare in cui la questione della crisi, economica sociale culturale, è al centro di ogni dibattito e discussione. Non solo il piano al tempo della crisi, ma tutto un mondo che ragiona sulla crisi: dall’informazione ai beni culturali, dalla guerra alla pubblicità, dai saldi all’innovazione. Se questo è il contesto nel quale ci muoviamo, sarà necessario interrogarci su come i piani devono e possono rispondere a nuove domande; chiederci per quale territorio ci accingiamo a produrre i piani e rispondere una volta di più a chi sostiene che i piani non servono.
Lo abbiamo fatto cercando tra le voci dei maestri che nel tempo hanno ragionato su questi temi, cercando di mettere a confronto il sistema della pianificazione con altri mondi, quello della produzione e della pubblicità ad esempio, per capire che cosa fa di un piano un buon prodotto utilizzando parametri di valutazione diversi da quelli strettamente disciplinari.
Abbiamo cercato le parole, i valori e i concetti che oggi alimentano il vocabolario del piano chiedendo competenze, attenzioni, strumenti che il piano di tradizione non aveva o teneva in secondo piano.
Lo abbiamo fatto scomponendo i piani, rivedendo le modalità e gli esiti delle più recenti ricerche sul tema, rileggendo le copertine delle riviste di urbanistica, organizzando una serie di incontri seminariali nei quali confrontare le esperienze. Come spesso avviene abbiamo avuto alcune risposte, ma soprattutto abbiamo raccolto molte domande che sono inevitabili dentro un percorso complesso come quello del piano.
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