NAPOLI (9 novembre) - Mentre è bufera sul ministro dei Beni culturali Bondi, spunta un dossier choc su Pompei: una indagine commissionata nel 2005 dall’allora soprintendente Guzzo emerge che il 70 per cento degli edifici necessitava di interventi di restauro e messa in sicurezza: il 40% con la massima urgenza perché in stato pessimo o addirittura con un cedimento.
Il dossier. Nel sito archeologico più grande nel mondo solo tre case su dieci erano in uno stato che si poteva definire tra buono e discreto. Ben il 70 per cento degli antichi edifici riportati alla luce, invece, necessitava di interventi di restauro e messa in sicurezza: il 40% con la massima urgenza perché in stato pessimo o addirittura con un cedimento in atto, il rimanente 30%, in stato appena mediocre, in un secondo momento.
A queste conclusioni sono arrivati nel 2005 gli architetti Giovanni Longobardi e Andrea Mandara che a capo di alcune squadre di ricercatori, architetti e archeologi hanno eseguito l’indagine - la prima dopo quella condotta dopo il terremoto dell’80 - per verificare le condizioni dei siti di tutta la città, commissionata dall’allora soprintendente Pietro Giovanni Guzzo con i fondi stanziati dal World Monumental Fund, l’istituzione americana che riunisce alcuni investitori tra cui l’American Express.
«È utile una governance diversa anche nell'ambito dei beni culturali: forse se ci fosse stata una impronta manageriale il caso Pompei non ci sarebbe stato». È il pensiero espresso dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, nel corso della tavola rotonda, Business international, ancora in corso. Riferendosi alla ricerca il ministro ha detto che «non si può gridare alla privatizzazione degli enti di ricerca, è inutile recuperare categorie ideologiche del Novecento. Mettiamoci d'accordo piuttosto sulle grandi priorità, dal nucleare ai beni culturali».
Il dossier. Nel sito archeologico più grande nel mondo solo tre case su dieci erano in uno stato che si poteva definire tra buono e discreto. Ben il 70 per cento degli antichi edifici riportati alla luce, invece, necessitava di interventi di restauro e messa in sicurezza: il 40% con la massima urgenza perché in stato pessimo o addirittura con un cedimento in atto, il rimanente 30%, in stato appena mediocre, in un secondo momento.
A queste conclusioni sono arrivati nel 2005 gli architetti Giovanni Longobardi e Andrea Mandara che a capo di alcune squadre di ricercatori, architetti e archeologi hanno eseguito l’indagine - la prima dopo quella condotta dopo il terremoto dell’80 - per verificare le condizioni dei siti di tutta la città, commissionata dall’allora soprintendente Pietro Giovanni Guzzo con i fondi stanziati dal World Monumental Fund, l’istituzione americana che riunisce alcuni investitori tra cui l’American Express.
«È utile una governance diversa anche nell'ambito dei beni culturali: forse se ci fosse stata una impronta manageriale il caso Pompei non ci sarebbe stato». È il pensiero espresso dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, nel corso della tavola rotonda, Business international, ancora in corso. Riferendosi alla ricerca il ministro ha detto che «non si può gridare alla privatizzazione degli enti di ricerca, è inutile recuperare categorie ideologiche del Novecento. Mettiamoci d'accordo piuttosto sulle grandi priorità, dal nucleare ai beni culturali».
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